Nei silenzi delle parole

giuseppe mancini, nei silenzi delle parole

Se mi fermassi nella lettura al solo titolo di questo romanzo di Giuseppe Mancini – incontrato per caso come, per un’incidenza improbabile, si sono sintonizzati i tempi dei suoi Sophie e Gabriel protagonisti del loro rumore silenziato – potrei, bivaccando, imprecare contro la tendenza odierna a far ammalare l’esistenzialità con tiepidi luoghi comuni. E si sa, ho una certa ostilità per i luoghi comuni e per le massime di saggezza raccattate qua e là in una consapevole neutralizzazione del pensiero cosciente, soprattutto autonomo. È possibile fermarsi ad un titolo, pre – giudicando l’umanità piena e totale di chi ha scritto? Non è da me nemmeno il pre-giudizio! Per questa intima considerazione mi sono imposto di darmi e dare lettura “altra” a questa storia di mete poste nell’alto dell’animo. 

giuseppe mancini a parigi
Giuseppe Mancini

Forse la semplicità delle parole messe su un volume, il più delle volte, stravolge la malsana abitualità di non interessarsi al “conviverci”, ripromettendosi di non ingannare l’esigenza di superare il “senso” comune pervenendo all’interiorizzazione di una possibilità che va oltre il comune del comune fino ad un “logos” comune. Il silenzio di un’anima, meglio, l’apparenza di un suo silenzio, non è un luogo comune. È una terra sconfinata di inevitabile comunicabilità “con chi è in grado di recepirti”. Recepire deve essere necessariamente riletto come “comprendere”. Comprendere è movimento intimo dell’actio amandi che sovrasta loro malgrado Sophie e Gabriel, vittime del non- comunicato delle quotidianità. Così nell’immediato secondo dopoguerra la drammaturga Françoise Sagan: “Amare non è solamente amare bene; è soprattutto comprendere”. 

Giuseppe Mancini
Giuseppe Mancini

Sì, delle quotidianità! Gli uomini sono quotidianità singole che specificano una dimensione al loro buio interiore. Lo sanno bene i protagonisti di questo romanzo. Sembra che nelle loro esigenze di denudare i rispettivi silenzi – maggiormente nei loro soliloqui relegati alle pagine di diario annessi alla trama romanzata – si scontrino Rodiòn Romànovič Raskòl’nikov e Sof’ja Semënovna Marmeladova del Dostoevskij di Delitto e castigo. Rimbombano in Mancini la severità delle parole dell’ex studente, neo criminale Rodja contro la sua compagna d’avventura- sventura interiore: “Non hai fatto forse quel che ho fatto io? Anche tu sei andata al di là… hai potuto scavalcare l’ostacolo. Hai portato la mano su te stessa, hai distrutto una vita… la tua (è lo stesso!). Avresti potuto vivere con lo spirito, con la ragione, e finirai in Piazza Sjennàja… Ma tu non potrai resistere e, se rimarrai sola, impazzirai, come me. Già ora sei vicina alla pazzia; dobbiamo quindi camminare insieme, sulla stessa strada!”. 

Ed ancora da Dostoevskij: “Incontriamo a volte persone che non conosciamo affatto, ma che destano in noi subito, fin dal primo sguardo e, per così dire, di colpo, un grande interessamento, sebbene non si sia scambiata ancora una sola parola”. Il romanzo di Giuseppe Mancini ha dalla sua la geometria dei sottovoce di “anime affini” alle quali “è concesso comunicare e stringersi forte” senza bisogno di troppe parole, del dolore che raffina il dolore. Dell’abuso delle proprie mostruosità interiori per riavere un batticuore da sincronizzare con un’altra anima. Dei sottovoce ennesimo atto di amore che si intronizzano solo nella consapevolezza finale di avere paura ad amare e a lasciarsi amare. 

Forse l’interrogativo ultimo di queste parole silenziose – a dir il vero, cognitivamente silenziate – è incidentato nel biglietto ripiegato nella tasca posteriore dei pantaloni di Gabriel, rinvenuto dopo il suo non riuscito gesto estremo di liberarsi del domani: “Oltre le apparenze e le banalità, / oltre gli affanni e le paure, / oltre gli errori, / oltre le consuetudini del già detto e pensato, / oltre tutto quello che sembra importante, / oltre il tempo e le parole…/ ci ritroveremo oltre”. Un chiarore nella storia, oltre la banalità delle solite trame amorose. Un’ actio amandi – a mio parere – che cerca di approvare se stessi ed in se stessi, nelle proprie dimensionalità a volte imprescrutabili, l’attimo ingenuo ma vero dell’amore. Un ritrovarsi per ritrovarsi assieme. Dei silenzi delle parole che ci toccano l’anima facendo tremolare il cuore.


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By Rocco Polistena

Ideatore e sostenitore del Correntismo, ricercatore instancabile dell'Umanità pura e bella, caparbio "incantato" dalla Cultura quale bisettrice unica di stile di vita, si definisce "un Uomo qualunque" alla ricerca dell'Essenzialita dell'Essere. Divulgatore per passione, aspirante giurista, "agricolo" per trasmissione dagli avi, presiede l'Associazione Culturale Roubiklon nella sua Lubrichi (RC). Ha scritto, editandole, diverse sillogi poetiche, riservando egli alla Poesia la causa primaria del suo "sentire". Ritiene il dialogo costruzione autentica di una societas nuova.

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